Nel febbraio 1996, a soli sei mesi dal lancio, il fondatore di Ebay Pierre Omidyar scriveva a tutti gli utenti del sito: "Tutte le persone sono oneste, ma alcuni sono disonesti. Cercano di approfittarsene. E nonostante in questi sei mesi diecimila transazioni siano andate a buon fine e soltanto una dozzina si siano concluse male, siamo costretti a intervenire". Questa è la vita! Omidyar con quella lettera introduceva sul suo sito il feedback, un sistema che permetteva di dare un voto (positivo 1, neutrale 0, negativo -1), sia al venditore sia all'acquirente, e di lasciare un breve commento al fine di ogni transazione. Voto e commento sarebbero bastati, secondo Omidyar, a definire l'affidabilità delle controparti e a scoraggiare i disonesti. Un sistema semplice che, seppur con alcuni aggiustamenti, funziona ancora oggi. Ma l'obiettivo è studiare un sistema tutto nuovo per calcolare la nostra reputazione online. Un sistema globale.
Sono ormai centinaia le piattaforme di consumo collaborativo, come sono stati definitivi questi servizi da Botsman e Rogers nel loro libro "What's mine is yours", sistemi che mettono in contatto gli utenti senza assicurare nessuna garanzia sulla transazione. Il sistema di fiducia diventa quindi parte fondamentale della progettazione di un servizio collaborativo. Il feedback rimane di certo la funzionalità più usata, ma spesso viene associata anche ad altri meccanismi. TaskRabbit, per esempio, fa un video screening dei candidati e chiede loro di registrarsi con la propria reale identità e non con un nickname. Airbnb, invece, invita gli utenti a connettere il proprio profilo a quello di Twitter e Linkedin in modo da permettere ai proprietari di inquadrare professione e abitudini quotidiane dell'eventuale ospite. Amovens in Spagna e Zimride in USA consentono di creare gruppi chiusi che delimitano il rischio.
Ma al di là delle singole soluzioni chi si occupa di sharing economy inizia a pensare a una soluzione più strutturata, un sistema di reputazione globale. Rachel Botsman a wired 2011 ha dichiarato che l'abilità di misurare la reputazione di una persona attraverso diverse piattaforme diventerà una metrica importante nel 21 secolo, più importante persino della nostra storia creditizia. Ci credono anche gli investitori che secondo il Businessweek hanno concesso un finanziamento di 30 milioni di dollari a Klout, il sistema di misurazione della nostra influenza online oggi più famoso. L'azienda ha sviluppato un complesso e poco chiaro algoritmo che, calcolando la frequenza con cui ci muoviamo sui principali social media, i messaggi che vengono rilanciati, l'impatto che essi hanno online, ci assegna ogni mattina - quasi a volerci dare il buongiorno - un "Klout score", un punteggio che va da 1 a 100. Una sorta di "PeopleRank" simile al PageRank di Google per le pagine web, che ha sollevato numerose perplessità.
La nostra affidabilità può davvero dipendere dall'influenza che esercitiamo sui diversi social media? E' la domanda provocatoria che fa uno dei tanti concorrenti di Klout, Trustcloud, che, invece, ha l'ambizione di misurare non tanto la nostra influenza quanto l'affidabilità, dando origine a un badge che si può portare su qualsiasi sito web. Così ognuno di noi può risultare essere trasparente, servizievole, connesso con la community di riferimento, ecc. Ma anche in questo caso i dubbi sono molteplici e vanno dalla reale affidabilità dell'algoritmo, alla difficoltà di dare un peso oggettivo a commenti e movimenti che oggettivi non sono, a come riconoscere eventuali giudizi falsi o guidati, al peso da attribuire a certi commenti piuttosto che ad altri.
La questione rimane dunque aperta e la soluzione ancora lontana.
Leggi il report "THE NEW SHARING ECONOMY" di Latitude Research and Sharable's Magazine Clicca QUI per scaricare il PDF
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FONTE:
Marta Maineri - www.repubblica.it
Sharable' Magazine - http://shareable.net/blog/the-new-sharing-economy
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