mercoledì 18 dicembre 2013

THE FILTER BUBBLE



Filter-Bubble


Il cardine attorno a cui ruota la rete sociale è la personalizzazione. Il problema, sollevato da Eli Pariser nel volume ‘The Filter Bubble’ (in italiano ‘Il Filtro‘, il Saggiatore), è che risultati di ricerca su Google e contenuti su Facebook tarati sulle nostre preferenze individuali non ci consentono solamente di trovare in rete proprio ciò che vorremmo trovare, e subito: è che rischiamo di non trovare altro rispetto a ciò che ci aspettiamo di trovare. Per Pariser, presidente di MoveOn e co-fondatore di Avaaz, a questo modo diventiamo vittime di una «autopropaganda invisibile» che «ci indottrina con le nostre stesse idee». E tutto per scelte incorporate in algoritmi che crediamo neutri, ma che invece non lo sono perché ci «nascondono» parti di Internet che per altri sono immediatamente visibili.
Il «filtro», in altre parole, fa sì che siamo meno esposti di quanto potremmo a opinioni diverse dalle nostre. E questo, argomenta l’autore, è un problema considerevole qualora si voglia usare Internet come strumento di confronto democratico. 

Perché, si legge, «le democrazie richiedono che i cittadini considerino le cose dal punto di vista degli altri», e avere sottoposto il web all’equivalente di una rivoluzione tolemaica in cui l’intero universo ruota intorno a ogni singolo utente finisce per far vivere ciascun cittadino nel proprio cosmo, separato e parallelo a quello degli altri. Per questo a volte possiamo passare una intera giornata su Internet senza mai venire a conoscenza di un contenuto «virale»: per esempio un video o un post che ha ottenuto larghissima diffusione, ma che i nostri amici non hanno condiviso, magari perché lontano dai loro interessi o dalla loro visione politica.
Un problema noto alla ricerca sociale, che precede la rete attuale e che tuttavia l’era dei social network ha ingigantito, dando maggiore risalto e accessibilità ai contenuti condivisi da persone che ci somigliano, o ai consigli d’acquisto basati sui nostri acquisti precedenti. Come segnala il Technology Review del MIT, tuttavia, due ricercatori sembrano aver trovato una soluzione. O almeno, un inizio di soluzione. La strategia è dettagliata in un saggio accademico intitolato ‘Data Portraits: Connecting People of Opposing Views‘. Qui il ricercatore dell’Università di Barcellona, Eduardo Graells-Garrido, e i colleghi di Yahoo Labs, Mounia Lalmas e Daniele Quercia, espongono una metodologia che sfrutta Twitter, il Big Data e le similarità tra utenti evidenziate dagli strumenti per la personalizzazione al fine di esporli di più a pareri opposti ai propri.

Gli studiosi l’hanno messo in pratica concentrandosi sul dibattito, estremamente polarizzato, sulla legge contro l’aborto in Cile. Prima di tutto, identificando 40 mila tweet contrassegnati dagli hashtag sull’argomento (per esempio, #prolife e #prochoice). Poi, selezionando gli utenti che abbiano ‘cinguettato’ dall’interno del Paese e che lo abbiano fatto in maniera non saltuaria. Sulla base delle parole ricorrenti nei tweet, hanno quindi composto delle wordcloud per ciascun utente. Gli autori le hanno chiamate «ritratti di dati» (data portrait): in sostanza, una visualizzazione dei pensieri espressi in tema di aborto. A corredo, un insieme di puntini, ciascuno per rappresentare un tweet rilevante rispetto alle parole che la compongono.





Sulla base delle similarità tra ritratti, infine, Graells-Garrido e colleghi hanno suggerito dei tweet di persone dal profilo simile, ma indicativo di opinioni opposte sull’interruzione di gravidanza. «Il nostro obiettivo», si legge, «era creare uno strumento che consiglia agli utenti tweet che gli possono interessare, ma sconosciuti, e provenienti da utenti che hanno un punto di vista opposto al loro su una precisa questione sensibile». Risultato? Sono proprio le persone che più si espongono su questioni delicate come l’aborto a essere «più disponibili a ricevere consigli da parte di individui con opinioni opposte», ma simili per altre questioni.

Non solo: maggiore è il grado di identificazione dell’utente nel suo ritratto basato sui dati, maggiore è la sete di serendipity, cioè di scoperte inattese. Come se vedere il proprio sistema di credenze in una infografica interattiva ci facesse rendere conto di aspetti di noi stessi che ignoravamo, comprese alcune convinzioni che forse non vogliamo mantenere incrollabili come appare dalla mera analisi quantitativa di ciò che scriviamo in rete.

Le conseguenze sono potenzialmente rilevanti non solo in termini di reale capacità di confrontarsi online, tema centrale in un momento storico in cui molti si augurano una web normalizzato, privo di insulti, e altrettanti che la rete sostituisca i luoghi della deliberazione politica. Se, come sostengono i ricercatori, è vero che variare maggiormente i punti di vista a cui sono esposti gli utenti ne diminuisce anche la resistenza al cambiamento, si comprende come l’uso di strumenti visuali possa diventare decisivo anche nel redesign dei social network stessi, a partire da quelli che mirano a creare partecipazione e deliberazione in ottica civica.

La strada è lunga, ma il segnale va nella direzione giusta. Lo stesso Twitter potrebbe considerare l’idea di mettere lo strumento predisposto dai ricercatori a disposizione dei suoi utenti: le informazioni ottenute fornirebbero agli studiosi dettagli preziosi per confermare o smentire i risultati di Graells-Garrido e colleghi. E a noi utenti, altri modi per uscire dalla «bolla» senza perdere i vantaggi del «filtro».

FONTE: http://www.wired.it/internet/regole/2013/12/13/come-usare-twitter-per-facilitare-il-confronto-tra-opposte-vedute-rete/

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